Uomo di Neanderthal

Un articolo apparso sul New York Times edizione cartacea del 30 maggio 2011 annuncia la scoperta di un nuovo metodo di datazione al radiocarbonio, da parte di un team congiunto dell’Università di Oxford (UK) e dello University College di Cork (Irlanda), che getta nuova luce sull’effettiva antichità dei reperti neandertaliani finora conosciuti e classificati.

Thomas F.G. Higham, specialista di Oxford in datazione al carbonio 14, e Ron Pinhasi, archeologo dell’Università di Cork, hanno messo a punto un miglioramento del tradizionale metodo di datazione che, come è noto, si basa sulla misurazione dei tempi di decadimento dell’isotopo del carbonio conosciuto appunto come Carbonio 14. Il C-14 viene ingerito da ciascun essere vivente durante la propria vita e comincia a decadere gradualmente dopo la morte. Vi sono quantità estremamente piccole di C-14 nei campioni più vecchi di 30.000 anni, ma persino piccole quantità possono essere contaminate lasciando credere che i reperti esaminati siano assai più “giovani” di quanto non sia in realtà. Il nuovo metodo si basa su un’accresciuta capacità di filtraggio delle particelle contaminanti, lasciando così integre le molecole di collagene recuperate dalle ossa fossili.

Le prime applicazioni di questo metodo ai reperti di Neanderthal hanno dato risultati alquanto sorprendenti. Finora si riteneva che le ossa recuperate da vari siti Neanderthaliani risalissero a non meno di 29.000 anni fa; e dal momento che i primi Sapiens avevano cominciato a diffondersi per l’Europa, provenienti dal vicino Oriente, a partire da 44.000 anni fa, era opinione accettata che le due specie avessero avuto abbastanza tempo per sovrapporsi nel medesimo contesto territoriale: da qui la domanda cruciale se questa coabitazione si fosse risolta anche in una mescolanza genetica dovuta ad incroci interspecie.

In effetti i genetisti che hanno decodificato il genoma dei Neanderthal hanno rilevato che il 2,5% dei geni dell’uomo moderno deriva proprio dal DNA neandertaliano.

Higham e Pinhasi hanno cominciato lavorando sulle ossa di un bambino Neanderthal morto a meno di due anni, ritrovate in una caverna del Caucaso settentrionale; vi erano nella stessa caverna le ossa di un secondo bambino, poste in origine ad uno strato inferiore, che erano state precedentemente datate a 29.000 anni fa. Quelle prese in esame dal team anglo-irlandese, dunque, poiché situate in uno strato superiore, avrebbero dovuto essere più recenti: invece – come riportato dai nostri il 6 maggio scorso negli Atti dell’Accademia Nazionale delle Scienze – le stesse, con il nuovo metodo, sono risultate essere vecchie di 39.000 anni.

Higham e Pinhasi stanno procedendo ad una revisione di tutte le datazioni dei fossili Neanderthaliani finora ottenute con il metodo tradizionale e sono fermamente persuasi che, alla fine, nessun sito Neanderthal in Europa risulterà avere meno di 39.000 anni. La qual cosa restringe e di molto il margine temporale entro cui le due specie – la nostra e quella Neanderthal – hanno potuto convivere (e quindi mescolarsi).

Secondo Richard Klein, paleantropologo alla Stanford University (California, USA), le argomentazioni dei due scienziati sono stringenti e perfettamente concordanti con la sua idea che l’uomo moderno sia di gran lunga superiore, sotto il profilo culturale e tecnologico, all’uomo di Neanderthal: “Questo ha permesso ai Sapiens di diffondersi molto rapidamente e di accelerare l’estinzione dei Neanderthal quasi al primo contatto”. Ma l’opinione è controversa, a cagione del piccolo patrimonio genetico neandertaliano che ciascuno di noi porta in sé.

Benché la scoperta di Higham e Pinhasi, se confermata, contraddica la possibilità di una mescolanza genetica, qualcuno ha suggerito che una possibile spiegazione della suddetta peculiarità possa ricercarsi nel fatto che un incrocio interspecie sia avvenuto non già in Europa, ma nel vicino Oriente 100.000 anni fa.

Pur giudicando ciò astrattamente possibile, il Dott. Klein ritiene che questa supposizione contrasti con i progressi archeologici, dal momento che non vi è nessuna prova di un effettivo incontro tra Sapiens e Neanderthal nel vicino Oriente.

Sembra dunque che il mistero in ordine a questi nostri possenti cugini, dalle grandi ossa e dalla fronte sfuggente, che (forse) non avevano l’uso della parola ma conoscevano il culto dei morti, si destinato a permanere. Chissà cosa ne penserebbe Java, il mitico assistente di Martin Mystere …

Fonte: traduzione e adattamento dall’articolo “A Rare Mix of Neandethals and Modern Humans” di Nicholas Wade, pubblicato su “The New York Times” del 30.05.2011.

Di Gaetano Anaclerio

Avvocato civilista, nato il 4 giugno 1964, esercita la professione a Bari dal 1992. Da sempre appassionato di ufologia ed enigmi archeologici, è socio del Centro Ufologico Nazionale dal 2001 ed attualmente, nella stessa organizzazione, ricopre il ruolo di responsabile della Sezione Provinciale di Bari e di componente della Commissione per gli Aspetti Giuridici. Insieme al Dott. Mauro Panzera è autore della monografia "Il trattamento dei dati personali in ufologia" edita nel 2004.

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