6. La civiltà dei Guanci

Al termine della parte precedente di questo studio ci siamo chiesti chi fossero i costruttori degli edifici dei quali Plinio attestava l’esistenza su Giunonia e, benché ormai in rovina, anche su Canaria. Ci è parso di poter escludere che essi fossero di origine romana o punica, per cui dobbiamo ora vagliare l’ipotesi che a edificare tali costruzioni sia stata proprio la popolazione autoctona che abitava le isole. Ma qual era il livello di civiltà raggiunto dai Guanci?

Di questo popolo non si sa molto, in realtà. Le difficoltà nascono essenzialmente dal fatto che i Guanci non ci hanno lasciato testimonianze scritte delle loro conoscenze (a parte talune iscrizioni tuttora indecifrate all’interno di alcune caverne): le uniche informazioni su di essi vennero raccolte da cronisti e storici spagnoli dopo la conquista, appena prima che la popolazione aborigena fosse largamente decimata dalle malattie portate dagli europei o ridotta in schiavitù o integrata ai colonizzatori per la restante esigua parte. In ciò dunque i Guanci condivisero con alcuni anni di anticipo il destino delle popolazioni delle Indie Occidentali[1].

Tra i dati sicuri, il fatto che – in contrasto con le tendenze animistiche delle popolazioni primitive – essi riconoscevano l’esistenza di un unico dio, o quantomeno di un dio più grande e potente degli altri (variamente chiamato Achguarergenan o Achoran dai Guanci di Tenerife, Abora dai Benahoritas di La Palma, Eraoranzan dai Bimbache di Hierro), ne collocavano la dimora in cielo e non ne avevano alcuna raffigurazione plastica, nel senso che non costruivano degli idoli – men che meno antropomorfi – da adorare in rappresentazione di quel dio[2]: non si può fare a meno di rimarcare come, per essere un popolo del Neolitico, la loro concezione religiosa fosse piuttosto evoluta. Si sostentavano con la pastorizia ed una primitiva forma di agricoltura, ma non disdegnavano la raccolta di frutti e bacche, praticando altresì la pesca rivierasca. Avevano uno spiccato senso dell’onore e prediligevano i giochi basati sulle prove di forza (tra cui si segnala la lucha canaria). Tra le loro manifestazioni artistiche, vi sono grotte dipinte o incise con ghirigori e motivi spiraliformi (tra cui le più note sono la Cueva de Belmaco a La Palma ed i petroglifi in località El Julan a Hierro), il cui significato resta naturalmente oscuro, ma che appaiono straordinariamente simili ad analoghe manifestazioni di antiche popolazioni europee e, cosa ancor più sorprendente, amerindie[3].

Petroglifi nella Cueva del Belmaco, La Palma

Molto si potrebbe dire sulla civiltà dei Guanci: ma occorre restare al riferimento pliniano da cui siamo partiti, cioè gli edifici in rovina esistenti su Gran Canaria. Va subito precisato che i Guanci non erano granché versati nell’ars aedificandi, essendo usi a vivere non in edifici, bensì in grotte o cavità scavate nella roccia, molte delle quali possono ancora essere visitate. Inoltre gli storici riportano che essi talora realizzavano piccole costruzioni con muri di pietra a secco, a pianta circolare, ovale o quadrangolare[4]. Che siano dunque questi gli edifici di cui fa menzione Plinio?

Caverne abitate dagli aborigeni a Belmaco, La Palma

La cosa appare fortemente dubbia poiché, se i Guanci erano in grado di realizzare simili costruzioni, erano verosimilmente capaci di conservarle nel tempo, perché seguitassero ad assolvere alla loro funzione. Mentre Plinio adopera una espressione (“vestigia aedificiorum”) che assume il significato univoco di rovine di edifici: dunque un luogo che era in stato di abbandono da secoli, nonostante la presenza dei Guanci.

Balza alla mente che nella località di Guimar, sulla costa orientale dell’isola di Tenerife, negli anni ottanta del secolo scorso fu messa in luce la presenza di costruzioni piramidali, grazie soprattutto alla mirabile ostinazione del celebre studioso e navigatore Thor Heyerdal: si tratta di sei piramidi a cinque gradoni di forma rettangolare, somiglianti a quelle realizzate da Maya e Aztechi in Messico. Contrariamente a chi riteneva che le stesse altro non fossero che mucchi di pietre accatastate dai coloni spagnoli a bordo dei propri campi dopo averli dissodati, Heyerdal dimostrò che le piramidi non erano ammassi casuali, perché posavano su un suolo precedentemente livellato e le pietre che le costituivano, essendo di origine vulcanica, non erano reperibili negli immediati dintorni, ma erano state appositamente trasportate da più lontano; inoltre esse recavano segni di lavorazione, in specie agli angoli. Tra l’altro le costruzioni sono orientate astronomicamente, presentando una scalinata sul lato occidentale, sulla quale è possibile salire seguendo esattamente il sole nascente al solstizio d’inverno[5].

Piramidi a gradoni di Guimar, Tenerife

Dunque, almeno sull’isola di Tenerife, vi erano costruzioni diverse dalle semplici grotte o capanne di pietra a secco utilizzate dai Guanci come abitazioni. Vi è un problema: Plinio non menziona l’esistenza di siffatte piramidi, nonostante la spedizione di Giuba – al cui resoconto egli attinge – essendo giunta fino a Hierro, abbia verosimilmente toccato anche Tenerife; forse la località di Guimar non era stata visitata dal sovrano numida oppure le piramidi, estremamente antiche, erano occultate dalla vegetazione (cosa del resto sperimentata dallo stesso Heyerdal).

Sull’argomento va evidenziato che Juan de Abreu, frate francescano autore di un resoconto della conquista delle isole datato al 1632, poi ritrovato e tradotto in inglese da George Glas, riporta una notizia rilevantissima, a cui non ci pare sia stata accordata la dovuta importanza e che può forse fornire supporto alla tesi dell’antichità delle piramidi di Guimar: la notizia è che vi erano piramidi anche sull’isola di La Palma, costruite con pietre a secco, attorno alle quali i nativi si riunivano in alcune occasioni, per svolgervi delle cerimonie con canti e danze: tali piramidi erano erette ad imitazione di una naturale, costituita da un solo blocco di solida roccia dell’altezza di circa mt 180, consacrata al dio Idafe, che dava il proprio nome al monolito[6]. Le implicazioni di questa affermazione sono piuttosto eccitanti: da qui verrebbe la conferma che i monumenti piramidali non erano il frutto casuale dell’accatastamento di pietre da parte dei coloni, ma erano in realtà costruzioni utilizzate dai Guanci per scopi sociali o di culto: dunque i Guanci, attenti osservatori dei movimenti del sole e della luna, erano in grado di costruire monumenti piramidali di notevoli dimensioni e sorprendente regolarità. Non convince però la ragione della loro edificazione a supposta imitazione del Roque Idafe: se questo poteva esser valido per gli antichi abitanti di La Palma, certamente non lo era per quelli di Tenerife, che dell’orogenesi di La Palma non avevano alcuna nozione!

Tutto ciò solleva ancora un’altra domanda: come mai le ricerche condotte finora sull’isola di La Palma non hanno portato alla luce siffatte piramidi? Che cosa è stato di esse? Bisogna mettere in conto che l’attività vulcanica, particolarmente frequente sull’isola, potrebbe averle distrutte, oppure i coloni potrebbero averle demolite utilizzando il materiale lapideo per erigere le proprie abitazioni, oppure c’è bisogno di un novello Heyerdal che le riporti alla luce. Ogni possibilità resta ancora aperta.

Tornando ora a Gran Canaria, è possibile che su di essa esistano ancora evidenze archeologiche che possano confermare il resoconto di Plinio? O anche qui la trasformazione del paesaggio, per opera della natura e dell’uomo, ha irrimediabilmente cancellato ogni traccia?

Leggendo ancora le antiche cronache di Juan de Abreu[7] ho reperito il riferimento all’esistenza, nei pressi del villaggio di Galdar, di una sorta di fortezza in pietra (“a large place, enclosed by a stone wall”) in cui un manipolo di Spagnoli e Portoghesi al comando di Diego da Silva trovarono rifugio da un massiccio attacco dei nativi, finendovi poi assediati per due giorni e due notti. Il nostro autore precisa che il luogo era “usato” dai Guanci per radunarsi, celebrare feste, mettere a morte i criminali, ma non anche che i Guanci lo avessero costruito: d’altro canto, le loro costruzioni di pietra a secco erano assai più modeste – come dicono gli archeologi – e qui si tratta appunto di un luogo vasto, che permette ad un piccolo contingente di acquartierarsi ed apprestare una resistenza.

Un ricercatore contemporaneo riferisce dell’esistenza a Gran Canaria di “muri estremamente stupefacenti, e grandi, come i muri di antiche città medievali o le mura di un grande tempio[8], affermando poi che tale manufatto andò in rovina presumibilmente per un terremoto, sicché oggi esso non sarebbe più visibile: tuttavia tace sia la fonte di tale notizia sia l’ubicazione di tale costruzione e quindi non è possibile verificare se si trattasse del fortilizio di Galdar ovvero di qualcos’altro.

Ad oggi, per riassumere, non è ancora possibile affermare con sicurezza che i Guanci possedessero le nozioni teoriche o la tecnica costruttiva idonea a realizzare le piramidi di Guimar o quelle (incognite) di La Palma ovvero ancora la fortificazione di Galdar; o se invece non si possa – in modo altrettanto ragionevole – ipotizzare che esse siano il prodotto di dimenticati contatti con le civiltà mesoamericane (come voleva Heyerdal) o, da ultimo, la prova dell’esistenza di un’antichissima e misconosciuta civiltà madre.

Non si può ignorare infatti la teoria secondo cui le Canarie, Madeira e le Azzorre siano ciò che resta del continente atlantideo. E sebbene la tettonica a placche escluda simile possibilità, essendosi tali isole innalzate direttamente dal fondale oceanico a seguito di vulcanismo sottomarino alla fine dell’Era Terziaria, vi è tuttavia un elemento che merita di essere attentamente indagato: l’assoluta carenza di alcuna dimestichezza dei Guanci con il mare e la vita marina in genere. Non si è mai sentito, se non in questo caso, di un’isola la cui popolazione autoctona non sia in grado di costruire neppure una zattera! Si potrebbe quindi azzardare l’ipotesi, certamente fascinosa, che i Guanci siano stati, in origine, un popolo di montanari: è cioè possibile che i Guanci abitassero ai primordi della loro storia la porzione montuosa di una terra più vasta e si siano poi ritrovati, a seguito del suo inabissamento, a vivere su isole che in realtà altro non erano se non le punte emergenti di quelle montagne. Vale la pena di ricordare che, secondo Platone, il luogo ove sorgeva Atlantide era “molto alto e scosceso dalla parte del mare” e la pianura in cui era posta la città era “cinta in giro da monti discendenti fino al mare”, i quali “chiudevano tra loro molti villaggi, ricchi d’abitanti, e fiumi e laghi e prati, che fornivano nutrimento sufficiente a tutti gli animali domestici e selvaggi, e selva copiosa e svariata, che porgeva materiale abbondante a tutti i lavori in generale ed a ciascuno in particolare”: tali montagne erano abitate da una popolazione numerosa (“ma il numero dei montanari e di quelli della restante regione si diceva fosse infinito”)[9].

I Guanci discenderebbero dunque dagli antichi abitanti delle montagne di Atlantide? Certo questo spiegherebbe la loro economia prevalentemente agricola e pastorale e la loro assoluta incapacità di prendere il mare. Ma allo stato questa resta una mera speculazione, sebbene recentemente rinvigorita dalla presunta scoperta, da parte dell’ingegnere aeronautico Bernie Bamford – mediante l’utilizzo di Google Earth nella sua estensione Ocean – di un’area rettangolare, attraversata da segmenti tra loro perpendicolari, sul fondale dell’Oceano Atlantico ad Ovest delle Canarie[10].

Di una cosa possiamo essere certi, alla luce di quanto fin qui riportato, e su basi più istintive che razionali: la vicenda storica dei Guanci potrebbe celare sorprese clamorose e meriterebbe un impegno di ricerca ben più esteso di quello finora profuso, attraverso l’avvio di nuove ed accurate campagne archeologiche sulle isole e nei fondali immediatamente circostanti: da qui, forse, potrebbe venire nuova luce sul passato più remoto dell’intera umanità.

Fine


[1] E una singolare analogia accomuna alla figura di Hernan Cortez quella di Jean de Bethencourt, nella conquista dell’isola di El Hierro: questa fu infatti consentita dalla totale assenza di resistenza da parte dei nativi, poiché essi riconobbero nell’arrivo di Bethencourt, a bordo di vascelli dalle candide vele, l’avveramento della profezia di un indovino di nome Yore, il quale aveva predetto che dopo la sua morte il dio Eraoranzan sarebbe ritornato a loro dal mare su bianche case galleggianti, sicché non avrebbero dovuto opporgli alcuna resistenza, ma anzi adorarlo (G. GLAS, Op. cit., 24). Impressionante il richiamo alla leggenda di Quetzalcoatl e la persistenza, sulle opposte sponde dell’Atlantico, del mito del ritorno per mare di un dio civilizzatore!

[2] G. GLAS, The history of the discovery and conquest of Canary Islands, 1764, 139 – 147 – 152.

[3] V. al riguardo la storia delle scoperta dei petroglifi di Punta del Este, sull’Isla de la Juventud a Cuba, narrata da A. COLLINS ne Le porte di Atlantide, Mondolibri, Milano 2000, 5; per quanto riguarda gli esempi in Europa, vanno ricordate le incisioni sulle pietre che adornano i tumuli di Newgrange in Irlanda e di Gravinis in Bretagna (v. D. Bonfanti, Sepolcri di giganti e di fate, in Hera, Acacia Edizioni, Anno XII, n. 124, Maggio 2010); inoltre, per ragioni di vicinanza al luogo in cui vivo segnalo altresì i petroglifi della grotta di Porto Badisco nel Salento, rimandando alla lettura di M. PANZERA, Misteri del megalitismo in Puglia, Archeomisteri – I quaderni di Atlantide, Gruppo Editoriale Olimpia, Anno II, n. 7 Gennaio/Febbraio 2003, 52.

[4] J.M. CASTELLANO GIL – F.J. MACIAS MARTIN, op. cit., 23: “In addiction, there is a kind of dwelling on surface particularly on Gran Canaria. This type of building, with stores and without plaster, was adapted to the irregularities of the ground. These buildings became virtually villages and generally had a circular or oval floor and occasionally quadrangular”.

[5] Voce “Piramidi di Guimar” dal sito Wikipedia all’indirizzo URL http://it.wikipedia.org/wiki/Piramidi_di_Guimar; che i Guanci conoscessero i movimenti del sole e della luna e che possedessero un preciso calendario lunare, come le popolazioni celtiche, ci viene attestato anche da G. GLAS, Op. cit., 139: “The natives held the sun and moon in great veneration, keeping an exact account of time, in order to know when it would be new or full moon, or other days of devotion”.

[6] G. GLAS, The history of the discovery and conquest of Canary Islands, La Laguna, 1764, 138: “in each district there was a great pillar or pyramid of loose stones, piled up as high as possible, and so as not to fall down. … In one of this districts, instead of a pyramid of loose stones, there was a natural one, being a narrow long rock, upwards of an hundred fathoms high, where the natives worshiped their god Idafe, whose name the rock itself still retains”; il “fathom” era un’antica unità di misura britannica, equivalente a sei piedi (ca.mt.1,80). Per inciso il pinnacolo roccioso noto come Roque Idafe è ancora oggi visibile nella Caldera de Taburiente.

[7] G. GLAS, Op. cit., 46

[8] T. RITTER, Enigmi delle antiche Canarie. L’isola di Elysia e le sue tradizioni, Archeomisteri – I quaderni di Atlantide, Gruppo Editoriale Olimpia, Anno II, n. 12, Novembre/Dicembre 2003, 31

[9] Estrapolazioni dal dialogo “Crizia” di Platone, come riportato in I. DONNELLY, Op. cit., 19-20.

[10] V. S. AGABITI ROSEI, Le strade sommerse di Atlantide, Fenix, X Publishing S.r.l., n. 6 – Aprile 2009, 46: la spiegazione poi fornita, a ridimensionare il caso, è che le linee visibili fossero i tracciati dei sonar utilizzati per le rilevazioni dei fondali.

Di Gaetano Anaclerio

Avvocato civilista, nato il 4 giugno 1964, esercita la professione a Bari dal 1992. Da sempre appassionato di ufologia ed enigmi archeologici, è socio del Centro Ufologico Nazionale dal 2001 ed attualmente, nella stessa organizzazione, ricopre il ruolo di responsabile della Sezione Provinciale di Bari e di componente della Commissione per gli Aspetti Giuridici. Insieme al Dott. Mauro Panzera è autore della monografia "Il trattamento dei dati personali in ufologia" edita nel 2004.

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