3. Gli aborigeni 

Quando Jean de Bethencourt approdò sull’isola di Lanzarote, la trovò abitata: gli Spagnoli non tardarono a rendersi conto che l’intero arcipelago era abitato, sebbene ogni isola costituisse un microcosmo isolato dagli altri, dal momento che gli aborigeni non conoscevano la navigazione e non praticavano scambi commerciali via mare né fra le isole né altrove[1].

Sebbene oggi il nome con cui gli aborigeni sono ricordati è quello di Guanches, in origine tale parola designava solo gli abitanti di Tenerife, derivando dalla fusione delle parole “guan” (che significa “uomo” in lingua locale) e “che” (che significa “montagna bianca”, chiara allusione al Pico del Teide innevato durante i mesi invernali); solo in seguito il nome cominciò ad essere utilizzato per indicare altresì gli abitanti delle altre isole[2].

Pur con qualche differenza da tribù a tribù, i Guanci – nei racconti dei primi Spagnoli che vi entrarono in contatto – presentavano caratteristiche fisiche decisamente inusuali: erano alti e robusti, con capelli biondi ed occhi azzurri, la qual cosa ha determinato, fin da subito, la nascita di una ridda di ipotesi sulla loro origine.

Si è sostenuto che essi discendessero da un gruppo di immigrati celtici giunti, chissà come, dalle coste settentrionali della Spagna continentale e che fossero quindi imparentati con le popolazioni basche[3]; altri invece ha ritenuto che i Guanci avessero avuto origine da gruppi di popolazioni norrene, giunti sulle isole durante le loro scorrerie nell’VIII o IX secolo dell’era volgare[4].

Resta però difficile da comprendere come sia stato possibile per queste genti, che certamente erano aduse alla navigazione, dimenticarne completamente i rudimenti nell’arco di due o tre secoli, in un’inspiegata regressione all’età della pietra.

Dal punto di vista antropologico, i Guanci sono stati ritenuti esemplari dell’Uomo di Cro-Magnon, un’antica varietà dell’uomo moderno (“Homo sapiens sapiens”), con caratteristiche fisiche stabili di tipo europoide, quali l’alta statura (mediamente mt. 1,80 per gli uomini), le gambe lunghe e le braccia corte, la faccia larga e bassa, un naso prominente ed una grande scatola cranica[5].

La qual conclusione lascia tuttavia irrisolto il quesito di come i cromagnoidi siano giunti sulle isole: infatti i resti più antichi di Cro-Magnon (rinvenuti in Francia) sono datati intorno al 30.000 a.C., in accordo con la teoria più accreditata sul popolamento dell’Europa mediante flussi migratori provenienti dal Medio Oriente a partire da 40.000 anni fa circa[6].

L’arrivo dell’uomo nelle Isole Canarie si è verificato dunque in quell’epoca? Se così è, si deve convenire che l’uomo di Cro-Magnon fosse in possesso di insospettate conoscenze geografiche e nautiche (che tuttavia i Guanci di epoca assai più tarda avevano, in modo inspiegabile, totalmente dimenticato). A questa ipotesi sembrerebbero però opporsi gli esiti della datazione al radiocarbonio, che fanno risalire il più antico insediamento dei nativi a non oltre il 200 a.C.[7].

Mummia di aborigeno

Studi condotti dall’Università de La Laguna (Tenerife) sulle incisioni rupestri e le pratiche funerarie dei Guanci hanno evidenziato somiglianze con analoghe incisioni e pratiche delle popolazioni libico-berbere del Nord Africa, donde la supposizione che i Guanci discendessero da tali popolazioni e provenissero dal Maghreb[8]. In particolare l’uso di preservare i corpi con una tecnica di mummificazione nota come “mirlado” stabilisce un univoco trait d’union con gli antichi Egizi, ancorché non fosse praticata in modo generalizzato[9]. Tuttavia, anche sposando la tesi di un apparentamento dei Guanci con le popolazioni berbere del Nord Africa, da cui potrebbero avere assunto elementi culturali della civiltà egizia, cause, tempi e modi del loro insediamento sulle isole Canarie restano avvolti nel mistero. Gli storici locali José Castellano Gil e Francisco Macias Martin sono persuasi dell’esistenza di un movimento migratorio partito dal continente africano in epoca storica e motivato dalla progressiva desertificazione dell’area sahariana, oltre che dalla crescente pressione dei Romani in Nord Africa. La qual cosa avrebbe provocato uno spostamento di popolazioni a più riprese, da principio volontario ed in seguito addirittura coatto[10].

Ad avviso di chi scrive, questa conclusione suscita più domande di quelle a cui tenta di dare risposta: intanto l’attraversamento del braccio di mare che separa Lanzarote e Fuerteventura dalle coste africane non è agevole anche per le forti correnti, sicché colui che vi si avventuri con successo deve ben padroneggiare le tecniche di navigazione, e ciò – una volta di più – contrasta con la circostanza che le popolazioni aborigene incontrate dagli Spagnoli non possedevano naviglio e vivevano come volgendo le spalle al mare. Ove poi si volesse pensare ad una deportazione di massa, chi l’avrebbe realizzata? I Romani? O forse i Cartaginesi, che prima di Roma dominavano sulle lande africane ed europee del Mediterraneo occidentale? E per quale ragione né gli uni né gli altri pensarono di stabilire avamposti sulle isole? L’archeologia ufficiale, infatti, non riporta evidenze di manufatti cartaginesi o romani. In forza di quali considerazioni gli uni o gli altri avrebbero dovuto farsi carico di una spedizione che avrebbe richiesto una grande quantità di uomini e navi, finalizzata a trasportare centinaia di individui su ciascuna delle sette isole dell’arcipelago, senza pensare di stabilirvi almeno una guarnigione? E perché mai esiliare un’intera popolazione su un gruppo di isole quando sarebbe stato più pratico ricacciarli a Sud, al di là del Sahara?

Ad un certo momento mi aveva affascinato l’idea che – in una determinata epoca – potesse essere esistito un ponte di terra tra l’arcipelago e la costa africana, tale da poter essere attraversato a piedi da un ceppo libico-berbero che avesse poi dato vita alla discendenza dei Guanci, sulla scorta di quanto sostenuto dallo scrittore inglese Graham Hancock: secondo Hancock in un periodo compreso tra 22.000 e 17.000 anni fa, epoca dell’ultimo massimo glaciale, amplissimi territori dell’Europa settentrionale e del Nordamerica erano sepolti sotto una coltre ghiacciata dello spessore di alcuni chilometri e tale era la massa d’acqua ivi imprigionata “che il livello globale dei mari era tra i 115 e i 120 metri più basso dell’attuale[11]. Hancock aveva ipotizzato che, in simile scenario, molte delle terre oggi sommerse si trovassero alla luce del sole, ed in particolare che l’intero Golfo Persico con lo stretto di Hormuz fosse asciutto, che le tre grandi isole del Giappone formassero una massa terrestre unica e che, nell’Atlantico occidentale, il grande banco delle Bahamas fosse un esteso altopiano, verosimilmente unito alla piattaforma continentale della Florida o da questa separato da un sottile e poco profondo braccio di mare.

Era possibile che qualcosa del genere fosse accaduto anche per le Isole Canarie, rispetto al continente africano? Hancock menziona le isole diverse volte, ancorché marginalmente, nel suo “Civiltà sommerse”, sostenendo fra l’altro di avere programmato nel giugno del 2000 alcune immersioni a Tenerife, “allo scopo di controllare le segnalazioni dei sub locali che sostenevano di aver visto “strane cose” sott’acqua in vari punti della costa di quell’isola … , fra cui “torri fatte di enormi blocchi di pietra” e una croce (anch’essa “enorme”) formata da due canali rettilinei che s’intersecavano ad angolo retto e sembravano scavati in una colata lavica sul fondale, a ventisette metri di profondità[12].

Tuttavia era bastata una semplice occhiata alle linee batimetriche per convincermi che, indipendentemente dall’esito (ignoto) delle immersioni di Hancock, le isole Canarie non potevano essere state legate alla terraferma, neppure al culmine dell’ultima era glaciale: infatti, la profondità dell’Oceano, anche presso le isole orientali (e dunque più vicine alla terraferma) scende fino a mt. 1.000, così vanificando l’idea che un ipotetico abbassamento del livello dei mari nella misura indicata potesse avere scoperto in tempi preistorici una lingua di terra utile al passaggio degli antenati dei Guanci.

Probabilmente una ricerca nelle antiche fonti avrebbe potuto chiarire i dubbi al riguardo.

 


[1] J.M. CASTELLANO GIL – F.J. MACIAS MARTIN, op. cit., 22: “there is no much evidence about the nautical knowledge of these first inhabitants”; anche la pesca aveva un ruolo marginale, essendo praticata lungo la costa con il succo lattiginoso della Euphorbia Canariensis, con reti fatte di giunchi ed uncini creati con corni ed ossa di animali (op. ult. cit., pag. 28).

[2] S. ANDREWS – J. QUINTERO, op. cit., 27.

[3] S. ANDREWS – J. QUINTERO, op. cit., 25; v. pure il sito Internet http://istina.rin.ru/eng/ufo/text/243.html .

[4] Tale ipotesi viene avanzata, tra i primi, dallo storico britannico George GLAS, nell’opera The history of the discovery and conquest of Canary Islands, edita nel 1764 (come traduzione di un manoscritto spagnolo del 1632 a firma del frate francescano Juan de Abreu) e conservata all’Università de La Laguna, Tenerife; il testo è consultabile gratuitamente on line al sito http://humboldt.mpiwg-berlin.mpg.de.

[5] voce Uomo di Cromagnon dal sito Wikipedia all’indirizzo URL http://it.wikipedia.org/wiki/Uomo_di_Cromagnon

[6] voce Migrazioni preistoriche dal sito Wikipedia all’indirizzo URL http://it.wikipedia.org/wiki/Migrazioni_preistoriche.

[7] S. ANDREWS – J. QUINTERO, op. cit., 26.

[8] S. ANDREWS – J. QUINTERO, op. loc.  cit.

[9] J.M. CASTELLANO GIL – F.J. MACIAS MARTIN, op. cit., 34: “The Canarian natives put the dead under a process of conservation similar to the Egyptian mummification known as <<Mirlado>>. But the <<Mirlado>> was not practised in a generalized way, and it is very possible that it was the result of a social differentiation”.

[10] J.M. CASTELLANO GIL – F.J. MACIAS MARTIN, op. cit., 22: “The first inhabitants of the arcipelago could have arrived voluntarily by their own means, but in a circumstantial way or were simply brought voluntarily or against their will”. 

[11] G. HANCOCK, Civiltà sommerse, Corbaccio, Casale Monferrato, 2002, 75-76.

[12] G. HANCOCK, Op. cit., 460.

Di Gaetano Anaclerio

Avvocato civilista, nato il 4 giugno 1964, esercita la professione a Bari dal 1992. Da sempre appassionato di ufologia ed enigmi archeologici, è socio del Centro Ufologico Nazionale dal 2001 ed attualmente, nella stessa organizzazione, ricopre il ruolo di responsabile della Sezione Provinciale di Bari e di componente della Commissione per gli Aspetti Giuridici. Insieme al Dott. Mauro Panzera è autore della monografia "Il trattamento dei dati personali in ufologia" edita nel 2004.

Un pensiero su “Curiosità e misteri delle isole Canarie (parte II)”
  1. Allo stato dei fatti abbiamo acnuli dati, ma non possediamo le interpretazioni certe.L’esperimento della doppia fenditura con elettroni e fotoni, o altri simili esperimenti di meccanica quantistica, si possono interpretare in diverse maniere, che si basano su PRESUPPOSTI DIFFERENTI, anche se poi portano allo stesso risultato. I fatti si interpretano correttamente in modi differenti.Non abbiamo al momento modo di scegliere fra le interpretazioni “classiche” (collasso della funzione d’onda) e quelle “alternative” (esistenza di molti universi fra i quali avviene una continua scelta, paradigma olografico di Bohm etc.).Ed anche se qualche elemento ci facesse propendere per una di queste interpretazioni sarebbe solo una scelta “temporaneamente esatta”, ossia la migliore delle scelte possibili. Da qui alla verite0 c’e8 ovviamente un abisso.Di sicuro il determinismo Laplaciano e8 ormai da abbandonare.L’unica cosa possibile sarebbe quella di analizzare i differenti casi di premonizioni e verificare se il loro palesamento ha mai portato ad una reazione che ha modificato (pur non cancellandolo) l’evento futuro previsto.

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