5. Le Canarie nel racconto di Plinio il Vecchio
La prima descrizione di una certa completezza delle isole e dei suoi abitanti ci viene da Plinio il Vecchio, che trae le sue informazioni dal resoconto di una spedizione esplorativa ivi compiuta nel I secolo a.C. dal re Giuba II di Mauritania[1].
Bisogna però dire che Plinio non sempre offre al lettore informazioni attendibili, attingendo talvolta a fonti di secondo grado, perciò dobbiamo provare con pazienza ad estrapolare i dati sicuri. Il passo che ci interessa è nel libro VI della “Naturalis historia”[2]. Plinio comincia con il riportare un giudizio di Stazio Seboso, secondo cui la distanza da Cadice delle isole Giunonia, Pluvialia e Capraria è di 750 miglia, vale a dire Km 1.100, considerando l’equivalenza del miglio romano a 1.480 metri[3]. L’osservazione è abbastanza precisa, se si considera che l’isola più vicina a Cadice in linea d’aria è Lanzarote, le cui coste settentrionali ne distano circa Km 1.050.
Meno facile è, semmai, individuare le odierne Canarie rispetto ai nomi che Plinio attribuisce loro; delle già menzionate Pluvialia e Capraria si dice che sono più ad Ovest di Giunonia (vicino alla quale si situa un’isola più piccola dallo stesso nome); vengono poi nominate Invalli e Pianosa, così chiamate la prima per la sua superficie convessa, la seconda per la sua conformazione pianeggiante; e vi sono ancora Ombrio, Ninguaria e Canaria.
E’ immediatamente visibile una stranezza nel fatto che le isole menzionate da Plinio sono otto (anzi nove, posto che ve ne sono due ad avere il nome di Giunonia), mentre le Canarie quali noi le conosciamo (escludendo gli scogli rocciosi di cui si è detto nella prima parte) sono in numero di sette. Questo ci pone davanti ad un dilemma: si tratta di un errore dello scienziato romano (o delle fonti cui attingeva) oppure esistevano in effetti, in epoche remote, altre isole, poi sprofondate in mare a causa di cataclismi di origine vulcanica (del resto non rari a quelle latitudini)?
Ci proveremo ora a stabilire delle correlazioni, senza naturalmente avere altra pretesa che quella di fornire un’ipotesi di lavoro. Plinio dice “La prima isola che si incontra si chiama Ombrio”: la qual cosa ha indotto gli studiosi ad identificare Ombrio con Lanzarote, per l’appunto la prima isola che si avvista navigando in direzione Sud-Ovest dopo aver superato le Colonne d’Ercole e, conseguentemente, la vicina isola di Capraria con Fuerteventura. Questa identificazione tuttavia non convince: infatti Plinio scrive che sui monti di Ombrio si trova un lago. A parte il fatto che i rilievi di Lanzarote sono in realtà collinari (il Monte Corona, nel lembo settentrionale dell’isola, ha un’altitudine di soli mt 609), l’unico lago che vi si trova è in realtà un piccolo stagno costiero, il Charco de los Clicos, nella parte meridionale. Ancor meno convincente è la proposta identificazione di Capraria con Fuerteventura: di Capraria Plinio espone una caratteristica faunistica, quella di essere abitata da “grosse lucertole”, che si riscontra senza possibilità di dubbio solo in un’isola dell’arcipelago: El Hierro. Quando i conquistatori spagnoli la raggiunsero per la prima volta restarono sorpresi (ed alquanto disgustati) dal constatare che – accanto alle altre specie endemiche – essa era abitata da lucertole giganti dal colore marrone-grigiastro, lunghe fino a mezzo metro e delle dimensioni di un gatto[4].
Stante la facile tracciabilità dell’informazione zoologica fornitaci da Plinio possiamo, senza margini di dubbio, identificare Capraria con El Hierro. Ulteriore indizio a conforto di questa tesi risiede nel fatto che, nella descrizione pliniana, le isole di Ombrio, Giunonia e Capraria sono situate di fronte a Ninguaria “sempre avvolta di nubi, il cui nome deriva dal fatto che è innevata durante tutto l’arco dell’anno”: è facile ritrovare in Ninguaria Tenerife, ove la cima del Teide è spesso avvolta da nubi e ricoperta da un candido manto nei mesi invernali. Così la terna Ombrio, Giunonia e Capraria, di fronte a cui sta Ninguaria, può essere facilmente identificata in La Palma, La Gomera ed El Hierro, tanto più che Plinio dice Capraria essere posta “più oltre” le prime due, in accordo con il fatto che l’isola di Hierro è la più occidentale dell’arcipelago.
In questo contesto anche l’identificazione di Ombrio con La Palma appare plausibile, essendo quest’ultima certamente isola montuosa, anzi la più scoscesa del mondo: per di più al suo interno vi è una mastodontica fossa circolare del diametro di Km 8, circondata da pareti rocciose a picco, la Caldera de Taburiente (forse un antico vulcano collassato), che funge da punto di raccolta delle precipitazioni atmosferiche ed è per questo ricca di sorgenti d’acqua e ruscelli[5]: uno di questi corsi d’acqua, il Rio Taburiente, forma nel suo percorso cascatelle ed anche uno specchio d’acqua balneabile dai turisti (la Playa de Taburiente).
Non è escluso che, in una temperie climatica caratterizzata da nevi perenni sul Teide e maggiori precipitazioni, nella Caldera potesse essersi formato un vero e proprio lago.
Quanto a Giunonia, l’odierna La Gomera, di essa Plinio dice solo che vi sorgeva “un tempietto in pietra” e che vicino si trovava “un’altra isoletta dallo stesso nome”.
Accanto a Ninguaria vi è Canaria, l’odierna Gran Canaria, il cui nome Plinio dice derivare dalla “moltitudine di cani di grosse dimensioni che la popolano” e dei quali Giuba II riportò con sé due esemplari. L’affermazione lascia perplessi per il fatto che gli Spagnoli, al loro arrivo, non trovarono alcuno di questi cani: ciò non di meno è curioso notare che esiste attualmente una razza canina, chiamata Presa Canario, ritenuta originaria delle isole: trattasi di un cane robusto dalla grande testa e dallo sguardo arcigno, utilizzato da secoli dai locali a difesa della proprietà[6], ed immortalato in una serie di sculture bronzee poste nella piazza antistante la Catedral de Santa Ana
a Las Palmas de Gran Canaria. Per quanto riguarda i prodotti naturali, nella descrizione pliniana Canaria rispetto alle altre isole offriva anche una ricchezza di miele, “di palme da datteri e di pigne”: questo particolare trova un significativo riscontro nella circostanza che il nome dato a Canaria dai suoi originari abitanti era “Tamaràn” che era appunto connesso alla palma da dattero (“tamar”) [7]. Inoltre – sempre secondo Plinio – lungo i fiumi di Canaria si trovavano piante di papiro e pesci siluro. Un dato assai rilevante ai nostri scopi è che lo scrittore romano riferisce essere visibili su Canaria “rovine di edifici”.
Per quel che riguarda le isole di Invalli e Pianosa, la prima potrebbe essere Fuerteventura, simile – vista dall’alto – ad una foglia di palma e perciò convessa da un lato, coerentemente con il significato del suo nome romano; mentre Pianosa potrebbe corrispondere, priva com’è di rilievi significativi, a Lanzarote.
Resta fuori da questo schema Pluvialia, per la quale l’unico indizio fornitoci da Plinio è che questa si trovasse, come Capraria, più a Ovest. Ritorna qui la questione estremamente controversa di un’isola mancante della quale pure viene attestata la presenza, come già per Giunonia minore. Sebbene una risposta definitiva circa la possibile esistenza, in epoche remote, di altre isole possa venire solo da accurati rilievi oceanografici, può essere curioso notare come la più recente versione (5.0) del software “Google Earth”, che permette di sbirciare anche sui fondali oceanici, evidenzi nell’area a Sud di El Hierro alcuni picchi sommersi (di certa origine vulcanica) che potrebbero essere stati un tempo isole.
Ma, al di là di tutto ciò, si deve rimarcare che secondo Plinio sulle isole vi erano le tracce urbanistiche di una civiltà sufficientemente progredita da edificare templi ed edifici (il “tempietto” di Giunonia, verosimilmente ancora integro al tempo in cui Plinio scriveva, e gli “edifici” in rovina di Canaria): tra l’altro il resoconto pliniano permette di escludere l’origine romana di tali costruzioni, poiché diversamente ci si sarebbe dovuti attendere che Plinio ne rivendicasse la paternità all’Urbe.
Nulla ci viene detto circa i costruttori di tali opere: è certo, però, che se già nel I secolo a.C. esse erano in rovina, dovevano essere piuttosto antiche, perlomeno risalenti ad alcune centinaia di anni prima. Resti della colonizzazione fenicia? La logica indurrebbe a pensarlo: tuttavia questa conclusione si scontra con il dato di fatto che le ricerche archeologiche sulle isole non hanno finora messo in luce reperti diversi da quelli della civiltà autoctona dei Guanci.
Ma, se non erano romane né cartaginesi, a quale civiltà appartenevano queste costruzioni?
[1] Figlio di re Giuba I di Numidia, fu condotto a Roma nel 46 a.C. da Giulio Cesare per il suo trionfo e quivi rimase per essere allevato ed educato, fino a che ricevette da Ottaviano nel 25 a.C. il regno di Mauritania. Morì all’incirca due anni dopo e gli successe al trono il figlio Tolomeo. Fu uomo di vasta erudizione, che cercò di introdurre nel suo regno la cultura greco-romana. E’ ricordato come autore di numerose opere in lingua greca, tra cui una storia di Roma, un trattato sul linguaggio ed uno sulla pittura.
[2] PLINIO, Op. cit., 763 [Libro VI, 202 e ssg.].
[3] AA.VV., Vocabolario della lingua italiana, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, 1986, voce “miglio”.
[4] S. ANDREWS – J. QUINTERO, op. cit., 260: il numero di tali lucertole, a causa sia degli insediamenti umani che dell’introduzione di predatori non autoctoni (cani e gatti), andò progressivamente diminuendo ed al principio degli anni ’70 la lucertola gigante di El Hierro era ritenuta estinta. Poi l’occasionale scoperta di una piccola colonia sopravvissuta in un remoto dirupo montuoso diede l’avvio, nel 1985, ad un programma di recupero. Attualmente questi rettili sono allevati in cattività presso il Lagartario – Ecomuseo de Guinea a Sud di Las Puntas e poi rilasciati in un’area selvaggia sorvegliata.
[5] S. ANDREWS – J. QUINTERO, op. cit., 240.
[6] S. ANDREWS – J. QUINTERO, op. cit., 44.
[7] S. ANDREWS – J. QUINTERO, op. cit., 66.