Dopo le ormai mitiche missioni Viking, il susseguirsi di esplorazioni sempre più ravvicinate ha consentito di avere una visione estremamente dettagliata della superficie del pianeta, sicché sono emerse – grazie all’attività indefessa di numerosi ricercatori (Viola, Piccaluga ed Agosti per citarne i più noti in ambito italiano) – anomalie in gran numero. Pur considerando che alcune di esse sono o potranno essere chiarite in ragione della geologia marziana, altre ve ne sono che hanno resistito fino ad ora ad ogni tentativo di spiegazione e che paiono suggerire l’evidenza che una civiltà marziana possa essere esistita in epoche remote per andare poi distrutta, forse in conseguenza di quegli stessi cataclismi che hanno privato il pianeta delle acque di superficie di cui un tempo era abbondantemente provvisto.

In effetti, la suggestione che in talune riproduzioni della superficie marziana siano visibili i resti di un immane sconquasso, e talora persino antiche rovine come noi le intendiamo, è davvero forte.

A tale riguardo, ritengo di portare all’attenzione del lettore la mia esperienza, auspicando che essa possa recare un contributo ancorché modesto alla ricerche in corso. Si tratta di talune particolarità emerse dall’esame nel dettaglio di una foto panoramica scattata dal rover Spirit, reperita e scaricata, nella versione più “pesante”, attraverso il sito Nasa della missione Mars Exploration Rover, all’indirizzo http://photojournal.jpl.nasa.gov/catalog/PIA03640.

La foto (Seminole_L257atc-A677R1.jpg, courtesy of Nasa) fa parte di una sequenza di panorami, cioè riproduzioni a colori scattate dalla fotocamera a 360° montata sulla parte alta del rover, ed è stata realizzata dal 23 al 28.11.2005 sul lato meridionale della “Husband Hill”, che il rover ha raggiunto circa due anni dopo il suo arrivo presso il cratere Gusev.

Foto 1: la "vallata"

Anzitutto nella vallata che si intravede in lontananza, oltre il declivio della collina a destra della foto, vi è una chiazza verde, piuttosto estesa, se consideriamo la distanza (foto 1). Noi siamo abituati a collegare il colore verde alla fotosintesi clorofilliana e dunque alla presenza di vita vegetale. La Nasa tiene a sottolineare che l’acceso colore rosso del suolo marziano (che qualche ricercatore ha contestato ritenendolo frutto della mistificante applicazione di filtri) è dovuto alla presenza di ossido di ferro nelle rocce: se ne deve concludere che, se il colore rosso è “reale”, allora anche il verde deve esserlo. Non è escluso, però, che si tratti di un affioramento di minerale che abbia quel particolare cromatismo o l’abbia assunto per effetto di un’interazione con l’atmosfera marziana (mi viene il mente l’ossidazione del bronzo qui sulla Terra, che produce una patina verdastra).

Foto 2

Vengo ora alle vere e proprie singolarità: la prima è una roccia collocata, fra diverse altre, nell’estrema sinistra della foto (foto 2). In questo particolare settore è particolarmente intensa l’impressione che un così disordinato ammasso sia il prodotto di qualche evento catastrofico o, come innanzi scrivevo, che si sia in presenza di un cumulo di rovine. Impressione avvalorata appunto dall’oggetto della foto, una roccia dalle forme più regolari (segnalata da una freccia). Questa, come meglio osservabile nell’ingrandimento (foto 3), sembra essere la parte terminale superiore di un pilastro quadrangolare, con una leggera svasatura degli spigoli verso l’esterno, come per ottenere una superficie di appoggio più ampia, per l’ipotetico sostegno (in origine) di un capitello o di una trabeazione. Il colore più scuro rispetto alle rocce circostanti (simile alla diorite) indurrebbe a pensare ad una composizione geologica differente.

Foto 3: il "pilastro"

Ma, quel che è più importante, essa appare perfettamente levigata sulle superfici visibili, con i due spigoli (quello a destra e quello frontale) aventi un andamento rettilineo e tra loro parallelo (come si può constatare con l’uso di un semplice righello). I margini dell’estremità superiore del pilastro sono lievemente convessi e si congiungono mediante un angolo rotondeggiante. Mi riesce difficile pensare che l’azione erosiva dei venti marziani possa avere creato una simile regolarità di forme. Il tutto contribuisce a dare un’impressione di solidità ed allo stesso tempo di leggerezza ed eleganza. Una crepa con andamento orizzontale, proprio sotto la svasatura dello spigolo frontale, potrebbe essere indizio di una notevole antichità dell’artefatto (se così vogliamo definirlo).

Vi è poi un’altra affascinante singolarità. Si tratta (apparentemente) di un altro pezzo di roccia, affiorante dalla sabbia, a brevissima distanza dalla base del rover sulla destra (foto 4).

Foto 4

Essa in effetti si trova a ridosso del limite inferiore della foto e, a meno di non sapere esattamente dove cercarla, passerebbe inosservata. La roccia in questione presenta, come la precedente, una forma estremamente regolare ed anzi una sagoma tale che appare difficilmente giustificabile con qualsiasi processo erosivo conosciuto. Da quello che si indovina (foto 5), per essere semisommersa dalla sabbia, essa consterebbe di una base circolare o ellissoidale cui è sovrapposto un parallelepipedo attraversato lungo l’asse maggiore da una cavità ellissoidale, quale si desume dall’apertura – nella sua faccia anteriore – di un foro dai contorni estremamente regolari, parzialmente invaso dalla sabbia. Quest’ultima, depositatasi anche sulla faccia maggiore del parallelepipedo (presumibilmente in piccole concavità di natura erosiva) concorre a dare un’impressione di estrema antichità dell’oggetto.

Foto 5: il "disco"

Anche in questo caso è difficile non usare la parola artefatto (sebbene di assai modeste dimensioni, data la vicinanza al rover): se poi esso avesse una funzionalità pratica o fosse parte di una qualche composizione plastica con finalità artistiche è difficile dirlo, appunto per essere in larga parte sepolto.

Ulteriore singolarità si rinviene in una roccia posta a mezza costa del profilo collinare a destra della fotografia (foto 6):

Foto 6

si tratta di un frammento originariamente parte di una più grande formazione (come evidenziato dal bordo superiore estremamente frastagliato). Essa mi ha richiamato alla mente qualcosa di noto, ancorché non fossi in grado di visualizzarlo immediatamente. Poi quella singolare biforcazione in basso, in parte occultata dalla sabbia, mi ha fatto balenare l’idea del dorso di una mano, nel punto dell’attaccatura delle dita indice e medio. Per esemplificare il concetto ho provato a cercare immagini fotografiche e/o dipinte di una mano destra ed ho reperito uno studio pittorico su marmo dell’artista Francisco Fernandez (foto 7, courtesy of http://fernandez.ilcannocchiale.it), che riproduce una mano destra in posizione di abbandono, non dissimile da quella cui il frammento in esame si apparterrebbe nell’ipotesi data. Per essere ancora più chiaro ho evidenziato con un marcato tratto rosso la porzione di mano rappresentata dall’artista con la quale la nostra roccia presenta così marcata somiglianza.

Foto 7: studio pittorico di una mano di F. Fernandez, courtesy of http://fernandez.ilcannocchiale.it

Merita di essere evidenziato, in aggiunta, che il frammento oggetto del presente studio reca, poco al di sopra della supposta attaccatura delle dita, una parte rigonfia sottile ed allungata che attraversa il “dorso” in tutta la sua larghezza (la rappresentazione di un monile o dell’orlo di una manica?), che se fosse il prodotto di un qualche processo erosivo marziano sarebbe davvero stupefacente.

E che dire ancora del blocco quadrangolare che è posizionato, in assetto leggermente inclinato, diversi metri a sinistra del frammento da ultimo esaminato (foto 8)? Dove mai si sono visti processi erosivi che squadrano le rocce secondo linee ortogonali? Sulla faccia più vicina della struttura in esame sono osservabili almeno quattro angoli retti, che ho evidenziato in rosso: bisogna riconoscere che i processi naturali marziani agiscono secondo dinamiche a noi sconosciute, a meno che non si voglia dare retta al buon Guglielmo da Occam ed ammettere che le linee ortogonali sono il prodotto di un’azione intelligente che modella la materia secondo canoni geometrici universali.

Foto 8: il "cubo"

Da ultimo, a poca distanza dalla roccia a base discoidale si trova poi una strana conformazione, piatta e sottile (tant’è che a destra e sinistra i bordi emergono chiaramente dal fondo sabbioso), la quale ha la forma di un pentagono perfetto (foto 9)! Ma vi è di più: in corrispondenza di tre dei vertici del pentagono, sulla superficie piatta della roccia, vi sono tre raccolte di sabbia di forma circolare, come se le stesse abbiano colmato tre corrispondenti cavità. Anche in questo caso, pare difficile pensare che la natura marziana abbia saputo generare un tale prodigio di simmetria.

Foto 9: il "pentagono"

Senza avere la pretesa di imporre soluzioni di alcun tipo, questo scritto si propone solo l’obiettivo di ingenerare domande. Si è – a mio avviso – in presenza di singolarità che andrebbero attentamente investigate, tanto più che le stesse si presentano visibili senza ricorrere a procedimenti di editing fotografico o di manipolazione delle immagini: infatti sono sufficienti pochi ingrandimenti perché si appalesino, in tutta la loro evidenza, anche alla persona meno versata in tecnologie di image processing.

Sarebbe stato anzi opportuno che il rover Spirit desse uno sguardo più ravvicinato alle anomalie sopra descritte, proprio perché almeno un paio di esse erano assai vicine, nell’ordine di qualche metro, alla sonda  robotizzata. Quindi riesce difficile pensare che il controllo NASA a terra abbia mancato simile opportunità, che certamente avrebbe consentito di compiere passi ulteriori, forse decisivi, nella comprensione dei processi geologici naturali (?) del nostro rosso vicino. Ma tant’è …

Alla NASA il beneficio del dubbio di non aver saputo cogliere al meglio l’occasione che le si era offerta, ed ai ricercatori indipendenti qui sulla Terra la fatica di avvicinarsi – passo dopo passo, immagine dopo immagine – ai misteri che Marte ancora cela.

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Di Gaetano Anaclerio

Avvocato civilista, nato il 4 giugno 1964, esercita la professione a Bari dal 1992. Da sempre appassionato di ufologia ed enigmi archeologici, è socio del Centro Ufologico Nazionale dal 2001 ed attualmente, nella stessa organizzazione, ricopre il ruolo di responsabile della Sezione Provinciale di Bari e di componente della Commissione per gli Aspetti Giuridici. Insieme al Dott. Mauro Panzera è autore della monografia "Il trattamento dei dati personali in ufologia" edita nel 2004.

2 pensiero su “Rovine Marziane?”
  1. Osservando le immagini, vedo che,come per tutte le immagini realtive ad esplorazioni extraterrestri, al di là di un certo fattore d’ ingrandimento tutte le fotografie sono sfocate.

    Non venitemi a dire che non si può far meglio:
    da decenni esistono apprecchi di ripresa e sistemi di trasmissione d’ immagini molto perfezionati. Dunque,i risultati visibili sono puramente e semplicemente non conformi alle possibiltà delle attrezzature utilizzate.
    Si arguirà che le immagini trasmesse da una così grande distanza, ecc. ecc….Tutte frottole.

    I primi eploratori lunari avevano a disposizione una macchina fotografica Hasselblad a pellicola, con obiettivi Zeiss. Hanno scattato le foto loro stessi, e loro stessi le hanno riportate sulla Terra. Ergo, non ci dovrebbero essere state interferenze. Ed invece, vi ricordate che pena, quelle foto ? Tutte le immagini che avrebbero dovuto mostrare dettagli interessanti, erano sfocate.
    Un bambino avrebbe fatto meglio con un apparecchio usa e getta.

    Altro argomento che distrugge la teoria delle difficoltà di trasmissione: i luoghi fotografati sulla Luna dovrebbero essere di una nitidezza perfetta, in quanto si è in assenza di atmosfera.
    Andate al vostro computer ed entrate in Google Earth: immagini prese da circa 200 chilometri di altezza attraverso il velo atmosferico e lo smog, vi mostrano auto, pedoni, ed in certe circostanze persino le tegole del tetto della vostra casa.

    Se ne deduce che le fotografie prese in ambiente extraterrestre sono intezionalmente sfocate. Il comune mortale deve vedere, ma non troppo.

    1. In effetti le foto delle missioni Apollo che ci sono state mostrate con assoluta nitidezza di particolari sono proprio quelle che in più di un caso hanno sollevato il sospetto che non fossero proprio genuine (donde tutte le teorie sul falso allunaggio) o che -quantomeno – fossero state ritoccate a posteriori in laboratorio, come la Nasa ha poi parzialmente ammesso.
      Quanto alle foto marziane, bisogna dire che una volta effettuato il download della cosidetta “full version”, è possibile visualizzarle sul proprio computer in modo sufficientemente chiaro. Certo, quando si vogliono ingrandire certi particolari, la foto si “sgrana” a causa del numero limitato di pixel.
      Tuttavia io ritengo che alla Nasa non siano così sprovveduti da non esaminare in dettaglio le foto per rilevare particolari interessanti (se siamo capaci di farlo noi profani, figuriamoci loro!): una volta trovatili, sarebbe assai semplice puntare la fotocamera del rover in quella direzione e, sfruttando il massimo ingrandimento possibile, ottenere rappresentazioni più ravvicinate. Il punto è: se tali immagini esistono, ci verrebbero mostrate?

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