“Mio nonno mi portò a vedere l’astronave nel 1945”, spiegò Harrison in macchina. Harrison è un anziano appartenente ad una delle tribù di nativi ancora rimaste negli Stati Uniti e amico di vecchia data della scrittrice.
“L’ho vista con i miei occhi. Sono anche salito a bordo. Era un grosso cilindro, largo circa dieci metri e lungo una ventina. Era caduto su un poggio, sprofondando per buona parte nel terreno. Si era mimetizzata per bene. Al momento dello schianto, la terra tremò così violentemente che mio nonno temette di vedersi crollare la casa addosso. Sulle prime mio nonno pensò ad un terremoto, ma una volta fuori, vide una grande nuvola di polvere che offuscava il cielo. Quando la nuvola si diradò, apparve l’astronave. Per giorni si tenne a distanza dal relitto, poi dopo una settimana circa, si decise ad andare sul luogo dell’incidente e lì incontro delle creature viventi. A suo dire, gli uomini venuti dalle stelle non morirono nell’incidente e vissero all’interno dell’astronave per cinque mesi prima di essere tutti in salvo.”
Il nonno di Harrison era un cacciatore e decise di portare del cibo agli uomini delle stelle ma loro rifiutarono dicendogli che non mangiavano carne. Harrison continuò il suo racconto:
“Diceva di averli spesso sorpresi a raccogliere piante e rocce. I primi tempi, appena lo vedevano, gli uomini delle stelle svanivano. Scomparivano nel nulla. Non ha mai capito come facessero, ma gli sarebbe piaciuto avere un simile dono. Col passare del tempo, gli uomini delle stelle capirono che mio nonno non costituiva una minaccia e smisero di scomparire al suo arrivo. Hanno vissuto qui da fine novembre ad aprile. Il 17 aprile del 1945 comparve un’altra astronave e da quel giorno mio nonno non li vide più. Sosteneva che oltre alla navicella precipitata nella sua fattoria, ce ne fossero altre tre sganciate da un’astronave più grande e mandate in orbita intorno alla Terra.”
La scrittrice chiese così ad Harrison se il nonno avesse assistito all’operazione di salvataggio ed Harrison rispose:
“Sì, mi disse che la seconda navicella atterrò sul terreno a ovest della sua casa. Era in tutto identica a quella precipitata. I superstiti si prepararono alla partenza e, prima di imbarcarsi, gli si avvicinarono e lo salutarono con un inchino.”
La scrittrice chiede così se prima di partire questi uomini tentarono in qualche modo di nascondere o distruggere l’astronave ed Harrison replicò:
“Quella non era un’astronave qualsiasi. A detta di mio nonno poteva cambiare forma. Non so bene come spiegarlo. La navicella aveva riportato gravi danni nell’incidente, eppure riusciva a mimetizzarsi col paesaggio circostante. Mio nonno sosteneva che l’astronave, la prima volta che la vide, era ricoperta di graffi ed ammaccature e aveva un grosso squarcio nella fusoliera, poco dopo, però, aveva cambiato aspetto e appariva del tutto simile ad un grande masso. I superstiti inoltre, scavarono un tunnel nella collina in modo che solo una minima parte del relitto fosse visibile ad occhio nudo. Non si distingueva dal resto del paesaggio. Ho potuto verificarlo coi miei occhi. L’astronave era color argento, ma dal portello d’ingresso alla coda la superficie aveva lo stesso colore della terra brulla. Mio nonno parlava dell’astronave come un organismo vivente. Era convinto che si riparasse o risanasse da sola.”
“Gli uomini delle stelle hanno mai detto a tuo nonno quale fosse la loro terra d’origine?” Chiese l’autrice.
“Gli dissero che venivano da un sistema stellare della costellazione del Toro. Chiamavano la loro patria Enyan. Mio nonno mi diceva che erano viaggiatori interstellari che attraversavano l’universo osservando le forme di vita presenti sui vari pianeti. I loro primi viaggi sulla Terra risalivano a migliaia di anni fa e nel corso della storia non avevano mai smesso di studiare il nostro pianeta, di raccogliere dati e prendere nota dei cambiamenti.”
Così l’autrice domandò ad Harrison quali tipo di conclusioni avesse tratto da questa esperienza e lui rispose:
“Un tempo gli indiani credevano che il popolo delle stelle facesse abitualmente visita agli uomini. Per alcuni si trattava di antenati, per altri custodi. Quindi non vedo nulla di strano nel fatto che una loro astronave sia precipitata proprio qui. L’incidente non ha fatto altro che confermare quello che già sapevo: il popolo delle stelle esiste.”
Quando la scrittrice domandò se suo nonno considerasse gli uomini delle stelle suoi amici, Harrison concluse:
“Ho fatto a mio nonno la stessa domanda. Mi ha risposto che non erano nostri nemici e che non costituivano una minaccia per la Terra, ma al tempo stesso non volevano stringere amicizia con gli uomini. Il popolo delle stelle non interferisce mai con le forme di vita che incontra nell’universo. Si tratta di una loro regola generale. Questo spiegherebbe il perché fossero tanto preoccupati di nascondere l’astronave. Così almeno credeva mio nonno.”
Mentre il sole tramontava e i due stavano per congedarsi, Harrison aggiunse:
“Prima ho dimenticato di dirti una cosa. Mio nonno era convinto che il popolo delle stelle venisse dalle Pleiadi, anche se nella loro lingua il nome suonava diverso.”
Quando vi capiterà di osservare il cielo, pensate ad Harrison ed al suo racconto, sapendo che esiste un popolo che da lì viene a farci visita.
(Tratto dal libro “Il Ritorno dei Popoli delle Stelle” di Ardy Sixkiller Clarke ed edito per l’edizione italiana nel 2015 da Venexia Editrice)
Fonte: https://ufoedintorni.wordpress.com/2020/05/10/un-ufo-crash-nel-1945-il-caso-harrison/